Deo gratias, abbiamo finalmente accantonato l’idea balzana che al ministero della Salute dovesse andarci un medico, a quello della Difesa un militare, ai Lavori pubblici un ingegnere civile o ai Trasporti un pilota di linea.

La nostra Storia Patria ci fornisce innumerevoli disastri fatti da cosiddetti “Governi tecnici “ dove questa definizione mascherava il tentativo anti-democratico di accreditare esecutivi non votati dagli elettori, ma derivanti dalla prorogatio di passati risultati elettorali che non riflettevano più le maggioranze del Paese, ed obbedivano poi a successivi rimpasti decisi nelle consorterie politiche. Ben diverso deve essere il caso delle strutture operative del Paese, quelle che muovono l’economia nazionale dove deve fare premio la competenza specifica e non l’appartenenza ad un credo politico. Noi non vogliamo più vedere un esperto ferroviario o un banchiere precipitati “ex-abrupto” nel mondo esclusivo dell’aerospazio e difesa, dove sia il lessico che la stessa postura vengono condivisi dai livelli apicali delle grandi Corporation internazionali. Pena, la mancanza di dialogo, il mancato riconoscimento dell’appartenenza ad un club e quindi la difficoltà di stabilire un dialogo costruttivo. E questo vale non soltanto, com’è ovvio, per middle ed upper management, ma anche per chi, in posizioni assolutamente apicali, deve assolvere funzioni di coordinamento ed impostazione delle politiche industriali che, in un’ottica di lungo periodo, condizioneranno gli sviluppi delle tecnologie di riferimento.

Uscendo dal caso specifico, lo stesso ragionamento vale per gli altri assetti strategici nazionali, sia che si tratti di energia, di telecomunicazioni o di siderurgia.

La politica ai politici, le imprese agli specialisti.